Nel piccolo libro la “Vigna di Nabot” [1] Sant’Ambrogio di Milano fa un significativo ritratto psicologico e morale del “ricco”, illuminandone i tratti alla luce della Scrittura che conosce profondamente. Partendo dal noto episodio biblico tratto dal Libro dei Re al cap. 2, in cui si narra come il re Acaz sottrae una vigna uccidendo il proprietario Nabot, Ambrogio illustra e sottolinea i comportamenti del ricco re, attualizzandolo e rendendolo figura generale. E’ un ritratto che dà lo spaccato di una società complessa ed in crisi come era quella al tramonto dell’Impero Romano, in cui le differenze sociali erano elevate e gli strumenti di tutela del povero inesistenti. Il santo Vescovo prende le difese del povero e ammonisce il ricco. Il testo ha una sconcertante attualità. Come mai questa consonanza con l’epoca attuale? Forse perché il liberismo nichilista sempre più invasivo che caratterizza le nostre società ci riporta ad una situazione in cui il povero è solo e privo di effettive tutele. Anche oggi la responsabilità del ricco aumenta per il venir meno di un sistema sociale dove la tutela dei diritti era garantita da una democrazia partecipativa reale e dalla articolazione della società che permetteva la rappresentanza degli interessi più diffusi. La crisi della politica e la frammentazione sociale portano ad un isolamento che genera ad una maggiore responsabilità del moderno ricco, cioè colui che ha risorse e potere. Parlando del ricco Sant’Ambrogio sottolinea come la pulsione fondamentale non sia il possedere per usare e far usare, ma il possedere per togliere agli altri e nascondere. Raccomanda perciò:
«Sei il custode dei tuoi averi, non il padrone. Tu che sotterri l’oro sei l’amministratore, non il despota. Ma dove è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore. Dunque in quell’oro seppellisci nella terra il tuo cuore». – Sant’Ambrogio – [2]
Questa caratteristica predatoria del ricco del tardo impero sembra riguardare anche le elites finanziarie contemporanee che si accaniscono per creare enormi depositi finanziari anche attraverso giochi di mercato ormai scollegati dalla realtà, e non a investire per il miglioramento delle condizioni spirituali, materiali e ambientali dei popoli. Come ricordava Ambrogio accumulano non per mettere a frutto ma per non far possedere ad altri.
Contraria a questa astrazione della ricchezza dai bisogni della comunità è la responsabilità sociale delle imprese che rappresenta un modo concreto per esercitare la propria attività, rispettando e valorizzando i diritti di tutti i partecipanti all’organismo complesso della impresa.
Essa ha una grande tradizione in Italia perché, prima di essere codificata nelle scuole di management, era applicata dalle imprese italiane. Ricordiamo le esperienze storiche più note di Olivetti e di Luisa Spagnoli. Ma possiamo anche trovare esempi meno famosi ma diffusi come gli asili infantili per le lavoratrici del tabacco, le colonie per la Terni Acciai e gli investimenti per la formazione del personale della Sai Ambrosini di Passignano sul Trasimeno. (https://welfare.upyourbrand.it/uncategorized/la-lunga-storia-del-welfare-aziendale-in-italia/).
Oggi è notevole l’impegno in queste pratiche della Ferrero. (https://www.ferrero.it/Fondazione-Ferrero)
In genere le aziende che praticano la responsabilità aziendale non come vetrina ma come concreta pratica coerente e voluta, hanno un personale motivato e sono in grado di competere sul mercato. Dietro ci sono sempre proprietari e manager che hanno deciso di non sotterrare l’ora come consigliava Ambrogio, ma di usarlo per il bene della comunità.
[1]Il prepotente ed il povero, La vigna di Nabot; Ambrogio di Milano, San Paolo, 2013
[2] Op. cit., Cap. XIV, pag 94.